Dall'architettura alla dimensione estetica: i linguaggi artistici di sintassi uniche e universal

L'architettura viene erronemante intesa solamente come studio e progettazione, puro calcolo di spazi e di interazione tra gli stessi, maggiormente elaborazione scientifica rispetto al lato estetico compositivo. È interessante, invece, rilevare, soprattutto nel corso degli ultimi anni, ma fenomeno di per se' già antico se pensiamo, per esempio, alle visioni urbanistiche sperimentali dell'Umanesimo o del Rinascimento, in cui l'architetto diventava anche artista e, quasi, artefice della città "ideale", una certa sinergia, se non anche contaminazione rilevante, tra l'aspetto artistico creativo e lo studio delle dimensioni urbane. In questo lasso si apre in tutta la propria dinamica e pulsante vivacità la produzione di una riconosciuta architetta brasiliana di Maceio, Vera Gamma, autrice che diventa demiurgo e artefice di uno sviluppo del concetto di città, di una sua evoluzione basata sulla centralità della persona, sulla vivibilità e sul piacere puramente estatico e contemplativo che la visione della metropoli, nella sua concezione universale, può trasmetterci. Vera è convincente nel proporre una dimensione, molto incisiva e, allo stesso tempo, altamente introduttiva, estetico compositiva, che sorge in modo indefferibile dalla conoscenza e dalla sapienza dell'utilizzo delle forme, in un gioco prospettico quasi concettuale delle immagini urbane impresse, oggettive quanto tangibili nella nostra quotidianità esistenziale, nel rapporto, sempre più complesso, a volte alienante e alienato, tra l'io e il contesto in cui vive e si sviluppa, almeno dagli ultimi anni dell'Ottocento fino a oggi, epoca di urbanizzazione e di inurbazione dell'umanità.

Vera affronta la città modellandola e rimodellandola, pensandola e ripensandola, in un'ottica sua propria, giocando con le linee e le dimensioni della stessa, diventandone un vero e proprio "demiurgo" e approntandoci verso realtà altre, inattese quanto inaspettate, forti ed estetiche nel proprio impatto. Architettura, intesa come progettazione e studio sociologico della dimensione umana civica, si contamina con una produzione autorale che porta la stessa artista a elevarsi a creatrice di una visione complessa che prevede un fondamento interiore e poetico di alto spessore, percepibile quanto contemplabile. La generalità dell'opera, che invade attraverso la propria portata unica e universale, diventa espressione di un punto di vista, convinto e consapevole, di spazi urbani che interagiscono tra loro, che si integrano a vicenda e che, infine, creano evoluzioni di pensiero e di proposta di lavoro artistico compositivo: Verinha ci chiama come spettatori a essere partecipi, valutando approfonditamente l'impatto, di una complessità che si fa sintassi visiva, linguaggio e alfabeto immaginifico quanto reale, offrendoci elementi valutativi e opzionali di introspezione che vanno oltre la dimensione puramente materiale.

La città viene ripensata come soggetto di uno studio artistico che ci porta a calibrare accenni diversi a citazioni artistiche di una letteratura al confine tra tendenze, generi e stili variegati, causa di complessità compositive raffinate, delicate, ma decise, perché ferma risulta essere la sapienza descrittiva dell'autrice. Le vibrazioni che ci propongono e verso cui ci conducono le opere di Vera sono tali da poter apprezzare l'impeto visionario, progettuale e di grande sapienza nel giocare con gli spazi e con le forme, in un contesto che ci propone immagini di una città ideale, nel concetto storico del termine. La capacità compositiva nel suo impeto visionario e anche intimo, impulso che viene ricondotto su un canale estetico complessivo di grande armonia ed equilibrio, anche qui caratteristica di una sensibilità molto elevata e di una sapienza descrittiva delle forme, tipica della progettazione architettonica nella sua concezione etimologica complessiva e completa, comporta una rappresentazione del reale da parte di Vera tramite l'uso di materiali differenti, elementi vari, oggetti materici diversificati compositi nella loro visione globale, affrontando con sicurezza e certezza interiore, nonché poetica, la dimensione scultorea e plastica dell'arte. Il riuso, nel concetto superaltivo del riciclo e del saper riproporre materiali che hanno avuto una vita e un'esistenza propria, nonché funzioni altre, diventa una tecnica che acquista un significante proprio, una valenza quasi letteraria immaginifica intensa e dinamica, linguaggio che ci porta a inoltrarci in un'esperienza unica e coinvolgente, un incontro sintetico tra la stessa tecnica utilizzata e la portata lirica del concetto dell'opera: il tatto, oltre alla visione e ai rimandi estetico concettuali, ci portano a dare una rilevanza notevole alla rappresentazione nella sua complessità, accompagnando la stessa con un impeto dinamico e di grande movimento: un coinvolgimento, questo, che non risparmia nessun senso chiamato in causa, naturalmente e spontaneamente, come naturali e spontanei sono i significati reconditi e intrinseci, visibili e presenti, dell'opera nella sua portata. Vera ci sorprende perché mai appagata dal punto, sempre migliorativo, di elaborazione compositiva, poetica ed estetica, raggiunto: tecniche e commistioni tra le stesse ci portano a studiarne approfonditamente quei moti di animo che si esprimono tramite il vigore estetico e interpretativo di un reale, riletto, ridimensionato, ripensato e rivisitato, decomposto e composto, scomposto e rielaborato in una concezione lirica di grande spessore.
