ALFREDO FAVALORO, MUSICA E PAROLE PER LA SUA ARTE
La donna senza volto dell'artista italiano, ormai portoghese d'adozione è protagonista del nuovo single "Some days Lullaby" della cantante Caroline Dowson, sia nel video clip che nella copertina.
Raffaele Fragola, scrittore italiano, invece, descrive il dipinto con una bella critica intitolata "La vita dopo un incendio".
Segue la critica e il video clip dell'opera.
WOMEN ARE BACK (di Raffaele Gl Fragola
Eravamo abituati ad altre immagini nella produzione artistica di Alfredo Favaloro: oggetti perduti all’uso corrente ma carichi di senso, la storia dell’oggetto dentro la nostra propria storia: persi a favore di simulacri immediatamente utili e funzionali all’uso, alla vita usa e getta. Abituati alle varie umanità, anch’esse come perdute nell’alienazione fagocitante della nostra vita come-viene-viene ma a misura dell’utile – salvo la sensibilità e la forza leggera dell’arte che rappresentano intrinseche il suo sapere sciamanico di materia e colore e in grado, per le sue vie, di restituirle all’integrità della visione e alla memoria. (Pensiamo ad esempio a una tela del Nostro fra le più belle e illuminanti in questo senso, in cui un gruppo di umane figure a lungo rimaste clandestine in un remoto altrove e non più in linea con questo mondo ma non ancora regrediti alla dimensione di fantasmi di una definitiva lontananza; che approdano sulla scena e chiedono di mostrarsi: che dichiarano di voler far parte della vita perché spetterebbe a loro innanzi tutto appartenere a ciò che già fu la dimensione sociale e la cultura dell’esistenza – il cui titolo, quel “can we come in…?” che ci introduce dentro la percezione dell’artista e che già da solo rappresenta uno scolio che fa a meno del metabolismo della scrittura attorno alla vita dell’uomo e al suo percorso sul pianeta; un percorso malato e diviso, a tratti unito e poi di nuovo malato negli impianti di civiltà diversi l’uno dall’altro. – E poi ancora tante figure e volti di donne soprattutto, senza più un’anima se non quella che la mano fatta e rifatta alla precisione del segno di Favaloro recupera alla vita e alla sua intrinseca dialettica.)
Ma un volto di donna che diresti viva anche sulla tela – perché dei vivi sono il suo guardare e la sua presenza, appena su di essi il tuo proprio impatta incontrandolo – con una sua storia da dire a sordi e ciechi cui l’umanità sì va vieppiù dimensionando, non s’era mai visto: un volto impegnato in un approccio quasi imperioso, con tutti i supposti dettagli del mondo da cui viene, del suo essere e delle sue esperienze – come del tempo e della fatica che c’è voluta per farcela e da lì il suo determinato ritorno sulla scena: per appartenersi infine pienamente, sul mondo alzando gli occhi e farsene beffa.
Sono esiti rari dell’arte – quand’essa affronta il rapporto dell’individuo col mondo. Perché nel puntare lo sguardo su tutti noi padroni di tutto, sulla nostra stupida supponenza e superiorità, lo sguardo della donna di Favaloro ristabilisce splendidamente, ma annullandole, tutte le distanze dell’uomo dal suo simile; e mette l’istanza del suo essere unitario al centro del mondo. Come solo il Rinascimento italiano o il genio di Vermeer in “la ragazza con l’orecchino di perle” avevano saputo fare. No, questo non s’era ancora mai visto. Perché qui avviene che questa figura di donna, nel dare ai suoi occhi l’intenzionale movimento verso qualcosa che non può essere che il resto del mondo, di ciò che è andata via via portando alla coscienza il mondo intero fa partecipe e destinatario. E ciò che ora sa, ecco si fa discorso al mondo di cui è naturalmente custode, linguaggio e teatro delle sue scommesse a venire, con tutta l’ironia e la padronanza di sé. Da dove ridisegnare la luce e l’aura della perfezione dell’esser vita e bellezza insieme, il tutt’uno di natura e cultura come solo una umanità consapevole può fare: quella meravigliosa perfezione che fa la nostra gioia nella vita e la nostra pena e solitudine quando ne perdiamo la presenza e il contatto che fa dell’uno e l’altro genere l’universo dell’appartenenza.
Avviene dunque che, inconsapevolmente, questa figura si apparenti e dialoghi con la classicità della dimensione rinascimentale (la mente mi va ancora, per esempio, alla Visitazione del Pontormo, in cui 4 donne, al di là delle allegorie, si raccontano attente e armate di esperienza ciò che hanno visto; a certe maliziose ingenuità del Botticelli; ai bloc-notes di Leonardo sui quali egli abbozzava, crudele e fantastico, studi e disegni già finiti nella loro potenza espressiva) il mondo moderno puntando dritto per dirci di tutte le sue insopportabili arroganze.
Questo a noi pare di vedere. E l’incendio del colore da cui l’immagine e la vita di questo Io sembrano appena usciti; quella mano che s’appoggia leggera alla mente articolandosi al messaggio e si fa discorso logico essa stessa: tutto questo non fa che offrirci la prova che tutto quello che immaginiamo osservando attentamente il volto di questa donna non solo è vero ma finalmente anche necessario. (Cosa che vale mille discorsi.) Per portare a chiarimento quanto vale la vita di tutti gli esseri, oserei dire, e quanto per contro i pregiudizi e le presunzioni e le miserie e le arroganze dei ciechi che non vedono pur disponendo di una vista; dei sordi che, pieni di sé, non sentono che la loro poverissima voce.
Avvicinatevi dunque a questa figura, osservatene la forza comunicativa e cercate nella vostra lingua le parole che danno nome e senso alle cose. Fate ancora un passo e godete senza nessun pregiudizio di quel sorriso dalle mille sfaccettature: perché dietro la sua ironia ammiccante e contagiosa c’è anche, siatene certi, la forza che dona la bellezza e il convincimento della necessità dell’essere. Prendete quella mano e stringetela per sentirne il calore che emana e di cui è fatta, e uscirete da questo incontro profondamente cambiati, avrete saputo finalmente che il mondo non è fatto come gli squali delle pubblicità e del profitto ogni giorno a tutte le ore ci dicono, ma che quel mondo stesso può invece farsi libero e infinitamente più bello e vero se solo siamo illuminati da un sorriso non buono – che non vuol dire niente – ma fatto di intelligenza e calore, del piacere di sentire gli altri più vicini, il nostro prossimo femminile non solo fatto di femmine da offrire al capro che è dentro di noi, ma anche portatore degli stessi bisogni, delle stesse possibilità di far posto alle fantasie dicibili e indicibili che passano per la nostra mente; delle stesse speranze di vivere finalmente la vita per tutto quello che può dare. A tutti.
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